Il film del 2009 di Carlos Saura, che in pratica racconta la genesi dell’opera Don Giovanni di Mozart/da Ponte, appare come una celebrazione cinematografica della metafinzionalità, ossia come cifra dell’opera che riflette su se stessa: perno della vicenda è infatti la proiezione del librettista da Ponte nella figura del Don Giovanni finzionale, di cui però da Ponte stesso rappresenta una variazione con lieto fine, ovvero la redenzione del libertino e il trionfo dell’amore vero. A sua volta il Don Giovanni operistico è un riflesso del vero Don Giovanni, Giacomo Casanova, di cui rappresenta una variante tragicomica. La realtà autobiografica di Casanova e di da Ponte non è mai veramente realtà, bensì si presenta come atteggiamento metafinzionale, ovvero come riflesso dell’autore nel suo personaggio, ma con variazione, nel bene e nel male. Casanova come eccesso, come ostinato tentativo di difendere il proprio libertinismo a tutti i costi. Da Ponte, presentando sul palcoscenico un personaggio dannato, che proprio per questa sua natura e per la sua fine tragica rappresenta la sua catarsi personale, la sua personale variazione del mito di Don Giovanni. Ed è anche riscontrabile una doppia proiezione narcisistica: del regista (ipotizzabile) sul da Ponte cinematografico, e di da Ponte stesso sul suo Don Giovanni.
Questo film è anche un riuscito esempio di intertestualità mediatica: l’opera lirica che si dipana attraverso il film, e che viene messa metateatralmente in scena, una sorta di musical lirico potremmo definirlo, dimostra che si può presentare un’opera come il Don Giovanni anche attraverso un media come quello filmico (pur non essendo il primo tentativo in tal senso), che non è certo paragonabile ad una messa in scena vera e propria, ma ne rappresenta una variazione, un’altra modalità mediatica di raccontare il mito di Don Giovanni, che ha generato a sua volta un altro mito: quello del suo creatore letterario, Lorenzo Da Ponte.
Armida